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Descriviamo un nuovo modo di fare giornalismo attraverso l’analisi dei dati. Come fa il “data journalist” a interpretare enormi quantità di dati e trasformarli in un’informazione chiara, precisa e critica per il grande pubblico?
Finalmente possiamo riprendere le
nostre passeggiate, grazie alla fine dell’emergenza per il Covid-19, che ci ha
costretti segregati in casa, per limitare la diffusione della pandemia.
Le nostre strade hanno qualcosa di diverso, che notiamo
subito! Ad ogni angolo, sui marciapiedi, ci sono mascherine e guanti, strumenti
che fino a poco prima di essere gettati via incautamente, ci hanno protetti dal
rischio di infezione. Ora, lì per terra, dimostrano chiaramente la nostra
insensibilità nei riguardi dell’ambiente, come se l’inquinamento non fosse
anch’esso un nemico da cui difenderci!
Improvvisiamoci esperti di statistica e immaginiamo di voler quantificare il fenomeno osservato.
Cosa dovremmo fare?
Percorriamo il nostro quartiere e contiamo quante mascherine vediamo. Ripetiamo lo stesso percorso ogni giorno della settimana, del mese, dell’intero anno. Annotiamo i valori osservati e proviamo a determinare un valore medio del numero di mascherine, abbandonate a terra, nel nostro quartiere, riferito all’anno solare di riferimento.
Abbiamo effettuato una valutazione statistica del fenomeno. E se applicassimo lo stesso metodo di analisi per tutti i quartieri dell’intera città e per tutte le città dell’intera Regione e per tutte le Regioni del territorio italiano e ancora per tutte le Nazioni e gli Stati del mondo? Otterremmo una visione globale del fenomeno che potremmo, volendo, rappresentare con tabelle e grafici esplicativi.
C'è qualcuno che ha seriamente realizzato un'indagine di questo tipo, per determinare l'impatto sull'aumento dei rifiuti ma, soprattutto sull'ambiente, dell'utilizzo dei materiali monouso (mascherine e guanti), durante la pandemia da Coronavirus.
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E’ quello che fa una nuova disciplina giornalistica: il giornalismo dei dati, o per dirlo con il termine inglese: il data journalism o – in breve - dataj.
Perché il data journalism?
Il dataj è un nuovo modo di fare giornalismo basandosi sui dati di un fenomeno, sulla loro analisi e interpretazione.
Soprattutto
quando si ha a che fare con una grossa quantità di dati (big data), l’informazione diventa
complessa e difficile da raccontare.
Il compito
del giornalismo dei dati è proprio quello di rendere un’informazione complessa
più comprensibile a tutti, e servendosi di accorgimenti come la visualizzazione attraverso: immagini, mappe interattive, grafici, rendere subito visibile il
messaggio che si vuole trasmettere. Allo stesso tempo cogliere e mettere in
risalto relazioni (data mining) tra i fenomeni osservati che, solo un occhio
attento può scovare.
Il
giornalista dei dati è un po’ come lo Sherlock Holmes dell’informazione.
Attraverso un’analisi attenta guida il lettore alla comprensione del fenomeno
descritto.
Lo sa bene
l’autrice dell’articolo che non risparmia tabelle e grafici, e che trascina il
lettore all’interno del problema attraverso link e mappe, come un Indiana Jones
alla scoperta del tesoro.
In questo
modo l’informazione non solo è più accessibile, ma è anche precisa ed
affidabile. Precisa perché i numeri sono precisi ed inequivocabili, affidabile
perché le fonti da cui provengono le informazioni sono ufficiali e verificate.
In un mondo
in cui siamo sommersi da notizie spazzatura, derivanti soprattutto dai social
che con un semplice click (clickbait) ci re-indirizzano a pagine di dubbia
autenticità, è importante fare riferimento solo ad informazioni certificate da
enti ufficialmente riconosciuti.
E’ importante
informarsi, ma allo stesso tempo pretendere e preferire un’informazione di
qualità, per non avere un’immagine distorta di un certo fenomeno.
L’utilizzo dell’analisi dei "big data" in maniera rigorosa è l’unico mezzo che consente al lettore di avere un’idea chiara, non
distorta da errate interpretazioni della realtà.
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