DEMENZA DI ALZHEIMER: A CHE PUNTO SIAMO CON LO SVILUPPO DI NUOVE TERAPIE?

 

Donepezil, Rivastigmina, Galantamina, e Memantina sono i farmaci attualmente in uso per il trattamento della demenza senile. Nonostante una buona tollerabilità e scarsi effetti collaterali non garantiscono un recupero completo del paziente. La ricerca scientifica sta sperimentando nuove sostanze che siano in grado di aggredire la malattia su più fronti con la speranza di impedire il ricovero del paziente nella fase terminale.

 

La malattia di Alzheimer è la forma più conosciuta e più diffusa di demenza senile.

Alois Alzheimer un neurologo tedesco la descrisse per la prima volta in un paziente. Era il 1907.

Attualmente ne sono affetti circa 30 milioni di persone nel mondo, con un’età media al di sopra dei 65 anni, e il numero è destinato a raddoppiare nei prossimi decenni. 

È una patologia cronica disabilitante che colpisce la sfera cognitiva, cioè la capacità di apprendere, ricordare, e formare nuovi ricordi. Sono compromessi anche il pensiero logico, il ragionamento, il linguaggio, con conseguenze gravi che, portano, quasi sempre, il soggetto a perdere la propria autonomia e a dover dipendere da altri, familiari e “caregivers”, nella cura di sé e nei propri bisogni quotidiani.

L’andamento della malattia riconosce tre stadi: un primo stadio definito “lieve,” in cui i segni della malattia sono poco evidenti, un secondo stadio “moderato”, e un terzo stadio che coincide con la fase terminale della malattia, definito “severo”, in cui si ha un evidente declino delle capacità mnemoniche e di linguaggio e possono manifestarsi disturbi psichici come aggressività, insonnia, ansia, depressione. Il malato è disorientato, non riconosce luoghi, volti, dimentica di mangiare e trascura l’igiene personale. La morte sopraggiunge di solito dopo un lungo periodo - in media dieci anni dalla comparsa dei primi sintomi - in cui la qualità della vita peggiora di giorno in giorno. Nella fase terminale della malattia il malato necessita di assistenza continua, perché incapace di svolgere le normali azioni della vita quotidiana ed è spesso ricoverato in strutture specializzate.

Fatta eccezione per le forme a esordio precoce (prima dei 60 anni) che riconoscono una causa genetica, la malattia di Alzheimer dell’anziano o “demenza senile” deve essere considerata una patologia multifattoriale. Non c’è una sola causa responsabile della sua comparsa ma ci sono diversi fattori responsabili sia genetici che ambientali. Alcuni di questi sono stati individuati grazie ai progressi della scienza.

Cosa accade nel cervello dei malati di Alzheimer?

Perché vengono compromessi l’apprendimento e la memoria?

La formazione dei ricordi è un processo che ha luogo in strutture profonde e specializzate del nostro cervello ricche di neuroni (le cellule nervose) che comunicano tra loro grazie a delle molecole chiamate neurotrasmettitori. La molecola per eccellenza coinvolta nei processi di memorizzazione è l’acetilcolina. Nel cervello dei pazienti affetti da demenza, la quantità di acetilcolina è insufficiente per svolgere fino in fondo il suo compito. Ne viene prodotta meno a causa della morte delle cellule nervose in cui viene sintetizzata e quel poco che si forma è subito metabolizzato. 

L’esposizione a metalli pesanti (cadmio, mercurio, piombo etc.) nel corso della vita, il verificarsi di processi infiammatori, lo stress ossidativo (*) sono solo alcune delle cause responsabili della perdita di tessuto nervoso nelle aree del cervello, corteccia e ippocampo, sedi della coscienza. 

Come si arriva alla diagnosi di demenza senile?

La diagnosi viene formulata dal medico specialista, il neurologo, sulla base della storia clinica del paziente, dei sintomi, della risposta a test che valutano il grado di compromissione delle capacità cognitive e da esami radiologici.

La diagnosi certa si ottiene, però, solo post-mortem, dall’osservazione diretta delle strutture cerebrali e dalla presenza di “placche senili” e di grovigli filamentosi. Queste sono formazioni caratteristiche dovute alla deposizione di aggregati proteici insolubili.

Quali sono le terapie attuali?

I farmaci in commercio hanno lo scopo di ridurre i sintomi della malattia e in alcuni casi ripristinare le funzioni cognitive.

I primi ad essere stati approvati in terapia sono stati gli anticolinergici, cioè quei farmaci in grado di limitare la distruzione di acetilcolina, che come abbiamo visto, è fondamentale per il mantenimento delle capacità cognitive e della memoria.

La nota 85 dell’AIFA autorizza l’impiego del donepezil, della rivastigmina e della galantamina nei pazienti che si trovano nella fase da lieve a moderata. Nella fase da moderata a severa è invece consigliata la memantina. Questo farmaco agisce bloccando i processi tossici che conducono alla morte i neuroni della corteccia e dell’ippocampo, le due strutture coinvolte nell’apprendimento e nella memoria. Gli anticolinesterasici e la memantina hanno consentito in una buona percentuale di pazienti che risponde alla terapia, un miglioramento significativo, in termini di recupero delle facoltà mnemoniche e cognitive, ampiamente dimostrato da studi clinici universalmente accreditati dalla comunità scientifica globale.

Nonostante i risultati degli studi clinici confermano una buona tollerabilità con scarsa presenza di effetti collaterali e l’efficacia dei farmaci approvati, nessuno di essi è però in grado di evitare il ricovero del paziente in istituti di cura e l’assistenza continua da parte dei caregivers.



Farmaci in commercio


Quale prospettive per il futuro?

La ricerca sta puntando sullo studio di molecole “multi-target” - che siano in grado di ostacolare la progressione della malattia aggredendola su più fronti -: da un lato limitando l’infiammazione, lo stress ossidativo, la formazione delle placche senili e dall’altro mantenendo adeguati i livelli di acetilcolina nelle aree del cervello deputate all’apprendimento e alla memoria.

Sarà determinante il ruolo della prevenzione realizzabile attraverso l’adozione di uno stile di vita salutare e grazie alla potenzialità delle nuove tecniche diagnostiche di individuare segnali precoci di demenza.



Lo sapevi che

(*) Lo stress ossidativo è un processo che invecchia e conduce a morte le cellule. É causato dai radicali liberi. Una sorta di composti altamente instabili e reattivi che rompono i legami tra le molecole. I radicali liberi sono normalmente prodotti durante le normali reazioni cellulari. Vengono resi innocui dai sistemi di difesa dell’organismo (antiossidanti), talvolta i meccanismi non funzionano bene ed allora si accumulano provocando la morte cellulare.


Fonti:

Nota 85/AIFA Agenzia Italiana del Farmaco – agenziafarmaco.gov.it


Foto:

pixabay

 


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